Filtrava il velo chiaro della Primavera dalle alte finestre del “Miche”, il mio liceo tanto odiato e amato allo stesso tempo….
Alla cattedra la detestabile professoressa di latino e greco e italiano e storia e geografia…ossessionante presenza per noi tutti….la primavera continuava, però, lieve a soffiare sulle nostre teste…
“Usque tandem Catilina abuteri patientiae nostrae…”
Mentre le parole di Catone erano ancora sospese per aria, la porta si apre, di schianto, quasi sembran sgricciare le mura …entra un ragazzo rosso in viso e con l’affanno in cuore….” Hanno rapito Moro”hanno rapito Moro continuava..sembrava un disco rotto ……il fragoroso scalpitio che ne susseguì, il trascinar di banchi, gli “oh”, i “mah” e tutto il fermento attorno, trattenne d’angoscia e sgomento la Primavera ….calò un rumoroso silenzio che durò ore ed ore.
Le classi tracimarono nei corridoi, nei bagni , nei giardini….gli insegnanti stessi seguivano il limaccioso fluire degli studenti attoniti.
L’odiata donna girava in tondo dicendo : siamo sull’orlo di una guerra civile, e lo ripeteva come un mantra alla sua classe ormai uscita…
Io avevo una vaghissima idea di Moro, del governo, dell’Italia stessa, delle trame antiche o presenti…rimasi spettatrice pur avendo la sensazione di un disagio, insistente, profondo, fastidioso; ma scaturiva principalmente dal fatto di esser misteriosamente consapevole di non capir bene la portata di ciò che stesse avvenendo…Del resto io ero un’ “outsider” o, per i miei detrattori ero piuttosto una “qualunquista”….non politicizzata, non solidale con i “compagni”, né sfrenata antagonista dei “fascisti”…Quelli che mi chiamavano “borghese” lo facevano con la bava alla bocca e con ampio disprezzo…
Mi trovai, mio malgrado, ben presto spintonata in una sorta di agorà improvvisata dove tutti urlavano,declamavano ora con gravità istituzionale ora con piglio giacobino…
Dalle vetrate che davano sul cortile passava una luce , tuttavia, tiepida e viva.
Guadagnai una prima uscita quasi sospinta da un forte desiderio di ritrovarmi da sola…come se il vociare prepotente della folla che si assiepava sempre più stretta mi stesse togliendo il diritto di essere un individuo.Mi staccai dal gruppo perché mi sentivo inghiottire senza una ragione, senza uno scopo…Alla soglia del grande ed imponente portone d’uscita non c’era nessuno…i bidelli erano scomparsi, forse anche loro fagocitati dalla folla…
Esitai, molto…guardai indietro, a destra a sinistra, e ancora indietro…nulla , nulla che potesse vedermi né nessuno..
Feci due passi, due ed ero fuori ,mi sembrò, nell’abbraccio amorevole e festoso della primavera.
Presi un autobus al volo…..senti attorno una aria greve pesantissima….il sole splendeva tiepido ancora ma vi era un palpabile senso di angoscia, di palpitante attesa di una tragedia….gli alberi stessi dei viali che percorsi, sembravano sentinelle austere e cupe di una fortezza che attendeva una disfatta imminente.
Il turbamento in me fu profondo e misterioso ma di breve durata …cominciai a pensare che avrei potuto vedere Riccardo. Arrivai a casa, lasciai un biglietto sulla tavolati cucina,” mamma vado a fare un giro in motorino con Riccardo…”a scuola ci hanno lasciato uscire fuori prima per via di Moro!!!, torno presto ciao-ciao!!
Inforcai il motorino, la primavera soffiava sui miei lunghi capelli biondi, le mie gambe snelle e il mio sorriso.La giornata finì suggellata da un bacio d’amore .Fu l’unica cosa che importò e mi fece sentire un’eletta da Dio.
Tuttavia il ricordo di quel giorno rimase con me sempre…serbai nel cuore, col senno di poi e di ciò che successe, un doloroso senso di colpa ma anche un sentimento struggente di comprensione per l’adolescente innamorata che ero stata. Essere fuggita da scuola in quel momento per tuffarmi in una gioiosa giornata di primavera sentivo,nel profondo, essere stato una colpa cosmica che avrei dovuto espiare.
E’ il 15 di marzo….è sera …sono ancora giovane, bella, sposata ad un uomo ricco e di prestigio. Le lotte di classe, l’appartenza politica sono lontane dal mio perfetto universo. Stasera usciamo: due anni prima tra la sera del 15 e il 16 marzo ci siamo dati il primo bacio. Vicino a me c’è una culla bianchissima, con ampi tulle e pizzi e fiocchi rosa..dentro la mia piccolissima gioia che ha solo 2 mesi…
Attorno c’è una nuvola di profumo di bimbo, un sapore inebriante di vita che sboccia nel più sublime dei prati. Mi fa sentire ancora più bella ….pettino i lunghissimi capelli e scivolo in un abito da sera….la bimba la portiamo con noi: è una piccola principessa che deve già essere mostrata al mondo. E’ già primavera nell’aria e stiamo via solo poche ore..giusto il tempo di cenare e brindare al nostro perfetto amore .
Quando entriamo nel prestigioso ristorante tutti ci guardano: mio marito è bellissimo ed è mio ….di nuovo la sensazione inebriante di essere un ‘eletta…non faccio molto per non indulgervi…la bambina piange ma poi cullata si addormenta.Anche lei è bellissima anche lei sarà un’eletta.
Torniamo a casa…dopo mezzanotte…la bimba sembra volersi svegliare ma poi riprende a dormire…
Andiamo a letto. Nella notte mi sveglio…c’è un ‘aria greve attorno, in attesa di qualcosa…Guardo fuori, la notte già tiepida appare immobile e livida,le stelle fisse e chiare rimandano presagi oscuri…Le barriere di palazzi che culminano in comignoli neri sembrano una parata di scudi in attesa di un attacco imponente…Attendo nel buio e avverto un turbamento che scorre calmo e rassegnato come un fiume sotterraneo che scorre inesorabile verso un ignoto destino. Torno a letto con un senso di cosmica rassegnazione che non riesco a comprendere……..
La mattina mi sveglio nell’oscurità della stanza e mi avvicino come sospinta da una forza misteriosa alla culla…
Il mondo intero, le stelle, i pianeti, le terre e i mari, e tutti gli esseri dal più grande al più piccolo ristiano !…..si fermino! Attendano! …La mia piccina non è più….al suo posto c’è una meravigliosa,dolcissima bambola di cera…Fuori, la primavera attende riluttante …ma allo sbocciare del sole sarà tutto un tripudio di colori e suoni che sembreranno cantare un inno alla gioia, mostruosamente incuranti della mia bambina.
In me, l’abissale dolore inghiottì tutto, il cosmo e la vita stessa:le porte dell’inferno sembrarono spalancarsi invitanti; ma il soffio lieve e vivo della Primavera continuò a soffiare.
Come in quel 16 marzo di 13 anni prima.
Giovanna C.
Mamma in cielo e in terra
Mamma Giovanna Paolucci è l’autrice del libro “La Spiegazione”
Fiorentina d’adozione, laureata in Lingue e Lettere e ha perfezionato i suoi studi negli Stati Uniti con un Master of Arts a O.S.U.
I dolori e le difficoltà della vita sono i temi attorno ai quali ruotano i racconti di Giovanna Paolucci, e su tutti svetta quello lancinante e insuperabile della perdita di un figlio.
La farfalla e 16 marzo sono incentrati su questa tematica così difficile da affrontare, ma necessaria per dare a chiunque abbia avuto un’esperienza simile il conforto di non essere da soli di fronte a un dolore così grande. In tutti i racconti c’è però una via d’uscita: la giustizia, il riscatto o solamente un’accettazione positiva degli eventi, letti sotto la luce della speranza nel futuro e con la certezza per i protagonisti che in un modo o nell’altro supereranno qualsiasi difficoltà.
Una raccolta che presenta le asperità della condizione umana, anche nelle sue pieghe più impalpabili.
Giovanna Paolucci è nata a Maratea nel 1962. Fiorentina d’adozione, è laureata in Lingue e Lettere e ha perfezionato i suoi studi negli Stati Uniti con un Master of Arts a O.S.U. Sposata con quattro figli e tre gatti, ha insegnato inglese al Liceo Classico Galileo di Firenze.
Se vuoi ordinare una copia del libro clicca il pulsante. L’acquisto del Libro supporta con una parte del ricavato la nostra associazione
Compra il LibroL’introduzione del Libro a cura del nostro Presidente Sonia Scopelliti
Era vivo, rideva,
camminava e giocava.
Natura, prendendolo che hai avuto?
Tu hai milioni
di uccelli colorati,
foreste, stelle, oceani,
il cielo infinito.
Perché l’hai strappato
dal seno della madre,
l’hai nascosto in seno alla terra
e l’hai ricoperto di fiori?….
(Rabíndranáth Thákhur)
Ho conosciuto l‘autrice della raccolta di questi racconti in quanto presidente della Associazione SUIDS & SIDS Italia fondata nel 2016 allo scopo di ridurre i decessi, nel primo anno di vita, causati da eventi improvvisi e inaspettati come la S.I.D.S. Sudden infant Death Syndrome (conosciuta popolarmente come “morte in culla”).
Lei, madre di una bimba morta per quella che comunemente si chiama Morte in culla, e io, a mia volta, madre che nel passato aveva sperimentato lo stesso crudele destino.
Lei venne, da Firenze, appositamente per conoscermi a Torino, e istantaneamente ci siamo abbracciate e da subito sentite come sorelle.
Non vi è dolore più grande si dice. E non vi è dolore più impossibile a spiegare, colmare, affrontare. Chi lo ha provato non deve spiegarlo a chi lo ha già provato ma deve affrontarlo. E’ allora che ognuna di queste mamme addolorate possono diventare l’una per l’altra un‘ancora di salvezza.
Una delle prime sensazioni che si provano dopo la morte di un figlio è che niente sarà più come prima, e che mai più la gioia potrà bussare alla nostra porta. Una delle ragioni per cui la nostra associazione è nata e vive è l’impegno a risollevare da terra le mamme orfane dei figli, e lasciare così che guardino al cielo nel quale, nonostante tutto, vi è ancora un sole che risplende, e vi sono stelle infinite che luccicano.
Ognuno ha il proprio modo di vivere il lutto e di lottare contro il dolore infinito. Quello che l’associazione cerca di dare è la certezza della speranza, la certezza che il ricordo dei nostri bimbi non morirà. Ognuno reagisce in vari modi.
L’autrice anche attraverso la scrittura. Una scrittura che cristallizza momenti di inimagginabile dolore. Vi sono, in verità, solo due racconti che rievocano in qualche modo quella devastante esperienza. E non è un caso. Scriverli comporta una sofferenza che si rinnova con violenza. Ma scriverli e volerli pubblicare, nonostante che, per pudore, fin ad ora non l’abbia mai fatto, potrebbe far sentire altre mamme comprese, e potebbe pure dar loro speranza. Si può e si deve tornare ad essere felici, e bisogna dar fondo a tutti i nostri talenti per riacciuffare appunto quella felicità che sembrava essere nostra di diritto quando abbiamo tenuto il nostro bimbo tra le braccia per la prima volta.
Il primo racconto rievoca il momento della morte, dove la fine fa presagire l’impossibilità di fare ritorno dall’inferno in cui si è caduti, l‘altro il momento del funerale, allorquando, per puro caso, la scrittrice, come in un‘epifania, rievoca un momento della sua fanciullezza che, come un monito gentile, le dice: “Ce la farai anche questa volta”-
Gli altri racconti, anche se non direttamente legati alla perdita di un figlio, sono incentrati sui dolori della vita, tra i più disparati, ma che lasciano sempre spazio alla luce della giustizia, del riscatto o semplicemente a una accettazione positiva davanti a eventi negativi della vita. Perché ciò, come diceva Camus, fa parte de “La condition humaine”.
Sonia Scopelliti – Presidente SUID & SIDS Italia